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SEDERSI NEL CENTRO PIACENTINIANO DI BERGAMO

C’è un oggetto che, modesto e alla portata dell’esperienza quotidiana, racchiude uno scrigno di ragionamenti sul nostro vivere insieme: nella mia esperienza di progettazione degli spazi pubblici ho potuto affrontarlo in tutta la ricchezza dei suoi contenuti.

È la PANCHINA.

Esposta alle mutevolezze del clima e delle percezioni, raccoglie dentro sé un’ineusaribile quantità di racconti e come uno scrigno può aprirsi regalando storie che parlano della città e del nostro modo di abitarla.

Tutti, ma proprio tutti, hanno qualcosa da dire sulla panchina.

Con sedie e divani la panchina condivide la FUNZIONE: serve per sedersi e quindi per consentire un’attività irrinunciabile per la nostra specie che, dopo aver conquistato la posizione eretta del bipede, deve necessariamente intervallare la verticalità con posizioni idonee a riposare la schiena, le gambe, l’assetto posturale dei muscoli e delle ossa.
La panchina è un fatto ERGONOMICO.

Dentro i TREND DEMOGRAFICI attuali in questa parte del mondo, sedersi diventa sempre più importante: stiamo invecchiando e con noi le nostre schiene e le nostre gambe.

La panchina è un elemento materiale e statico: in quanto tale è FORMA, DESIGN, PRODUZIONE, certificazioni e regolamenti, prestazioni che resistono all’usura, che non feriscono, che non smagliano le calze di nylon, che non producono schegge, che non incastrano le dita dei bambini….

Con sedie e divani la panchina condivide la sua natura di ARREDO, cioè di elemento aggiunto, per molti versi marginale, intercambiabile, sostituibile e variamente declinabile.
E’ ARREDO URBANO che interpreta la dimensione cangiante e tattica del TRANSITORIO.

Anche se strettamente imparentata con loro, la panchina si differenzia dalle sedie e dai divani che stazionano nei nostri spazi PRIVATI, perché è un oggetto PUBBLICO, non di qualcuno, ma di tutti.

Non abita le stanze delle nostre case, ma i parchi, le strade, le stazioni, i viali. Non abita le abitudini protette e intime degli SPAZI INTERNI, ma quelle esposte e rischiose degli SPAZI ESTERNI.

Non è un messaggio che appartiene al nostro personale diario, è una PAROLA SOCIALE.
Nella panchina l’IO diventa NOI.
Le sedie e i divani del privato accolgono solo le persone che passano attraverso il filtro delle nostre porte, i nostri amici, i nostri ospiti.
La panchina invece è un OGGETTO COABITATO SENZA FILTRI che selezionano.
Atleti e anziani, mamme e bambini, innamorati e amici, solitari lettori di giornali, badanti ai parchi con i loro anziani oppure tra di loro, nei momenti di libera uscita. Impiegati che consumano lo snack della pausa pranzo estiva, gitanti stanchi. Per qualcuno è una sosta breve, in attesa di qualcuna altro o per tirare il fiato per un attimo. Per altri è una sosta più lunga, pensionati e umarell che trascorrono il loro tempo fuori dalle loro solitudini alla ricerca degli altri, per vedere la vita che scorre e per farsi vedere. Per qualcuno è un pretesto per fare due chiacchiere, per conoscere qualcun altro. Flâneurs e flâneuses, amiche che guardano i giovanotti che passano, giovanotti che guardano le signorine in transito.

Aldilà della lettura strettamente ergonomica, SEDERSI NON È UNA SCIENZA ESATTA: ci sono modi diversi che si trasformano nel tempo e cambiano con gli stili di vita.
Sedersi infatti non è solo un BISOGNO, ma è anche un DESIDERIO: compiendo questa azione, si compie una rappresentazione di sé, per sé e per gli altri.
Sedersi sulla panchina nella scena pubblica è un’INTERPRETAZIONE TEATRALE. E vedi i ragazzi a cavalcioni, informali ed elastici, i signori distinti e composti, le signore con le gambe accavallate come si conviene al galateo, gli ubriachi sdraiati, i buskers che rincorrono un’armonia perduta, i writers alla ricerca di pagine da scrivere, i vandali di gesti eclatanti….

Sedersi è un’azione che ci racconta le DIFFERENZE e quindi, inevitabilmente, i CONFLITTI possibili.

La panchina è un gesto POLITICO: è la declinazione del concetto di DECORO, di quello che è gradito e di quello che è sgradito ai sistemi ideologici. Nei Consigli Comunali si consumano lotte estenuanti sulle panchine e sui loro braccioli… si, no, NON VOGLIAMO I BIVACCHI!

La panchina diventa programma elettorale, impegni per la SICUREZZA e la PULIZIA e se lì si siedono solo loro (ndt gli extra comunitari) alla fine è meglio non mettercela proprio.

La panchina è SELFIE, autorappresentazione….e te la piazzano lì , lungo gli itinerari turistici, objet d'art ingigantito per immortalare i paesaggi e te dentro di loro.

E’ ROSSA come il sangue delle donne uccise ogni anno in questo paese incivile….Porta messaggi, porta poesie. A volte diventa monumento.

C’è tutto nella panchina e , in questo momento di crisi delle città, se apri lo scrigno ci trovi nel ruolo di protagonista, la fantasmagoria della coabitazione.