Giorno dopo giorno, l’emergenza pandemica sta rendendo evidenti contenuti che appartengono da anni al glossario delle discipline territoriali, portandoli nella carne viva dell’esperienza emotiva, soggettiva e collettiva, fuori dall’astrazione concettuale.
Stiamo verificando in diretta e sulla nostra pelle questioni fondamentali dell’abitare e della sua possibile (e necessaria) rigenerazione.
Per molti versi quella a cui stiamo assistendo e partecipando nel duplice ruolo di spettatori e attori è una gigantesca, straordinaria operazione di rigenerazione del nostro abitare, provocata dall’emergenza e dalle sue urgenze.
Imperfetta e approssimativa, ma, proprio per questo, capace di insegnarci moltissimo.
Tre sono gli aspetti fondamentali che si stanno trasformando sotto i nostri occhi nella concitazione del territorio pandemico:
1. L’HARDWARE cioè la parte fisica, gli edifici e i loro spazi, le strade, le piazze, quello che chiamiamo tessuto connettivo dell’abitato. I pieni e i vuoti.
2. Il SOFTWARE cioè il sistema di regole di coabitazione degli spazi fisici da parte della comunità.
3. Il SENSO COMUNE E L’EDUCAZIONE che consentono alla comunità di capire, condividere, farsi parte attiva e responsabile nella gestione dell’hardware e del software e quindi delle regole della coabitazione.
Sono tre aspetti che si costruiscono l’uno sull’altro, influenzandosi, limitandosi, determinandosi reciprocamente nel loro intreccio inevitabile.
Devono viaggiare insieme: la loro separazione è negativa e produce criticità che possono tradursi in costi molto alti per la collettività.
Possiamo avere un hardware bellissimo e costoso, ma se manca il software giusto il territorio non funziona.
Possiamo dotarci di un’attrezzatura perfetta sia per quanto riguarda l’hardware che il software, ma se chi li usa non lo sa fare i risultati sono insoddisfacenti.
Viceversa spazi fisici poveri possono diventare interessanti e ricchi per i contenuti che chi li abita è capace di esprimere.
O ancora. Lo stesso spazio cambia completamente e produce esiti molto diversi se abitato da relazioni e significati diversi.
Potremmo fare moltissimi esempi:
Da una parte citare i fallimenti di numerosi quartieri nati come utopie spaziali e architettoniche e poi finiti col diventare simboli di degrado sociale. Dalle vele di Scampia alle torri di Zingonia, dal Corviale di Roma allo Zen di Palermo.
Quartieri in cui ci si è concentrati sul progetto dell’hardware trascurando completamente quello del software e della comunità.
E anche esempi inversi ormai molto numerosi in cui edifici degradati e dismessi, entrati in una forte crisi spaziale, hanno ritrovato una nuova vita grazie all’agire delle comunità sociali, allo sviluppo di nuove relazioni.
In queste settimane, cioè in un periodo cortissimo rispetto ai cicli urbani, abbiamo assistito a una travolgente operazione di rigenerazione degli spazi delle nostre città: abbiamo visto spuntare dehors lungo le strade, bike lanes tracciate velocemente nelle sedi carrali, cortili riallestiti per spettacoli e ritrovi, monopattini e bici elettriche …. Interventi che, pur ispirati da obiettivi e linee guida generali, hanno dato forma ad interpretazioni specifiche e pragmatiche di situazioni locali.
Interventi per la gran parte legati alla dimensione del ‘transitorio’, della sperimentazione, della necessità spinta dall’urgenza. Azioni empiriche, per questo imperfette e facilmente esposte al rischio di sbagliare, ma nel loro complesso straordinariamente interessanti per la costruzione di nuovo immaginario e di nuove metodologie.
La rigenerazione (pensiamo per esempio alla riapertura delle scuole) è avvenuta lavorando contemporaneamente sui tre aspetti:
1) Quello spaziale attraverso i nuovi allestimenti finalizzatiti ad una prossemica del distanziamento….
2) Quello delle regole, cioè come entrare, come uscire, come organizzare i turni dei pasti e delle ricreazioni, come portare la mascherina...come isolare i possibili contagiosi…
3) Quello della partecipazione e della cooperazione dei vari attori, studenti, insegnanti, genitori… che si sono messi in gioco come parte attiva, creativa, disponibile ad interpretare un ruolo costruttivo e positivo senza il quale nulla funziona.
E sono altri i temi fondamentali che abbiamo potuto capire attraverso l’esperienza di questi giorni.
Il primo, fondamentale, che quando si parla di abitare nessun punto è in sé, isolabile e autonomo rispetto al resto del territorio. Ogni punto è parte di un sistema di relazioni all’interno di una logica che è quella dei vasi comunicanti.
Nessuna parte dell’hardware territoriale può essere considerata semplicemente come un dato statico, ma deve essere approcciata come elemento dinamico, collegato alle strade, ai sistemi di trasporto, ai flussi che genera. La sua esistenza e il suo funzionamento creano onde che si propagano come quelle di un sasso gettato nel lago.
La riapertura delle scuole ci ha fatto ben comprendere che sostituire e diradare i banchi all’interno delle aule non può di certo bastare se non si affronta il tema dei trasporti e dello scaglionamento dei turni di entrata e uscita dall’edificio, laddove si manifestano le principali azioni dinamiche.
Il secondo tema, conseguente al primo, è che una componente fondamentale del progetto di rigenerazione è il tempo.
Potremmo rivoluzionare le nostre città, il nostro modo di abitare, senza cambiare l’hardware, ma riorganizzando gli orari di funzionamento di tutto ciò che nella città vive.
Cioè lavorando sui ritmi, sul respiro, sul battito cardiaco dei sistemi urbani, che adesso sono sincopati e soggetti a stress: appianando i picchi acuti delle ore di punta, ragionando sul troppo vuoto e sul troppo pieno determinati dallo squilibrio dei flussi.
Sulla centralità dei tempi e degli orari nel progetto dell’abitare, l’Italia ha prodotto pensieri d’avanguardia già a partire dagli anni Novanta, attraverso figure come Sandra Bonfiglioli. L’urbanistica time oriented parte dall’esperienza del vivere, (non è un caso che sia soprattutto un tema elaborato dalle donne) e riguarda temi fondamentali come quello della SICUREZZA e della RIVITALIZZAZIONE.
La pandemia ha portato a galla alcuni slogan che riassumono l’orientamento delle sperimentazioni in atto: le parole da sole non bastano, ma sono comunque fondamentali per delineare il campo d’azione, la traiettoria e gli obiettivi.
Parliamo di CITTA’ CORTA capace di riavvicinare, riconducendole a portata di piede e di respiro tranquillo, le funzioni della quotidianità, per ridurre gli spostamenti obbligati e tutto ciò che ne deriva in termini di ore di punta e di pessima qualità della vita.
Nella città corta trova uno spazio enorme il tema della medicina territoriale e l’obiettivo primario di non costringere le persone malate a spostarsi in cerca di quello che serve, ma di fare in modo, al contrario, che sia quello che serve a raggiungere le persone in difficoltà.
Parliamo di CITTA’ LENTA, a 30 km ora: l’attenzione al tema della mobilità, cioè al software delle relazioni sociali, ha avuto un’accelerazione imprevedibile negli ultimi pochissimi mesi.
Ci sono moltissime sperimentazioni ovunque che vanno nella direzione di recuperare una dimensione umana della vita urbana lavorando sul recupero dei quartieri e degli spazi pubblici, sulla loro trasformazione in luoghi di comunità.
Dobbiamo mettere in conto errori, in un percorso difficile di successive approssimazioni, sperimentale e pragmatico: dobbiamo mettere in conto reazioni dettate dall’inerzia nei confronti delle innovazioni che ogni sistema sociale tende inevitabilmente ad esercitare.
Ma non possiamo fermarci: la rigenerazione è necessaria e l’esperienza della pandemia ci obbliga a capirlo e a metterci in gioco.