Riflessioni al tempo del coronavirus
Se l’idea del guscio protettivo è stato uno dei riferimenti fondativi dello spazio domestico, negli ultimi decenni i nuovi stili di vita hanno trasformato profondamente i nostri modi di abitare.
L’abitare contemporaneo è sempre meno legato a forme stabili, ma si costruisce per fasi variabili e cangianti nella vita delle persone .
Si parla di ‘abitare spalmato’ cioè distribuito in vari nodi separati e distanti tra di loro (il lavoro, il consumo di cibo, il riposo, lo studio……) sempre meno legato ad un unico territorio fisico e a un’unica comunità sociale.
Le nostre vite sono fatte di pendolarismi, connessioni spaziali e virtuali.
Le case, attraverso le tecnologie digitali, sono connesse al mondo: tra privato e collettivo si creano nuovi intrecci continui.
I nostri rapporti sono spesso con comunità di interessi e di scopo che valicano, indipendenti e leggere, i confini geografici.
I tempi domestici si sono ridotti, le famiglie hanno cambiato forma e dimensioni.
Le donne abitano sempre meno l’interno delle case private e vivono nello spazio pubblico.
Ci sono meno figli, più anziani.
Si abita sempre più spesso soli, oppure in pochi. Oppure in condivisione per un periodo transitorio legato a una coincidenza di obiettivi di breve durata.
Gli archetipi del nido e del guscio vengono sostituiti dal nuovo archetipo della ‘casa albergo’ dove si vive da ‘ospiti’, provvisoria, incerta, variabile, non territoriale.
E della ‘casa protesi’, che serve come supporto del nostro corpo per amplificarne le prestazioni. O anche soltanto per consentirne il riposo, l’allenamento, l’alimentazione e l’informazione.
Tutto questo diventa architettura, città, nuove forme, nuovi modelli di abitare “poroso” .
Spazi fluidi e non confinati, esperienze e percorsi anziché stanze fisse.
La forma chiusa ed euclidea perde centralità nel progetto d’architettura, sostituita dalla ricerca di interrelazione, prestazione, coinvolgimento sensoriale che lega entro una cornice fatta di esperienze dinamiche e fortemente soggettive , l’abitante, l’oggetto e il contesto.
La casa è fatta di flussi, non è più un oggetto da contemplare ma un percorso da esperire, un continuum spaziale in cui tra interno ed esterno si tracciano confini permeabili, deboli, poetici.
La Mobius House progettata in Olanda da Un Studio – Het Gooi 1993/98 è un esempio emblematico di come i nuovi stili di vita si riflettono nelle nuove forme e nei nuovi pensieri sull’architettura . I progettisti raccontandola dicono:
• " l'idea del progetto della Möbius House è partita dal diagramma di due linee intrecciate, che fa da complemento alla nostra teoria sui due abitanti della casa, il marito e la moglie, che dovranno vivere e lavorare all'interno di questa dimora. In un ciclo di 24 ore di vita e lavoro, delle volte vorranno stare insieme, altre no. Le due linee del diagramma rappresentano le persone che vivono nella casa. Questo diagramma in rotazione, che grazie alla sua astrazione è aperto a diverse interpretazioni, ha portato all'idea di lavorare con due materiali e di usare il concetto di tempo correlato alla distribuzione del programma."
• La casa quindi, seguendo le dinamiche rappresentate con l'anello Möbius, è stata organizzata intorno ad un percorso continuo che, come un nastro, si sviluppa su tre livelli : lungo il percorso si snodano le funzioni dell’abitare.
Il movimento diventa così il principio morfologico che imposta tutte le scelte dell’architettura.
Come sarebbe abitare in questa casa in questo periodo di domesticità forzata?
Vi ricordate i gusci 100x100 di Hong Kong?
Ecco, sicuramente sarebbe diverso.