Riflessioni al tempo del coronavirus
Il paesaggio si è insinuato in me con una forza pervasiva al punto che ora non posso più fare a meno di pensarmi, in ogni circostanza, come abitante di un paesaggio.
E’ stato lo spostamento dall’idea di PROGETTO a quella di PROCESSO,
dal pensiero concentrato su PUNTI DISCONNESSI a quello allargato alla ricerca di RETI INTERCONNESSE,
dal VOCABOLO singolo alla FRASE significante,
dallo ZONING astratto all’idea di ECOSISTEMA,
dal LAVORO INDIVIDUALE al LAVORO DI SQUADRA.
E’ stata la scoperta delle DIFFERENZE e della loro BELLEZZA, della BIODIVERSITA’ come valore irrinunciabile della coscienza contemporanea, dilaniata nella ricerca di un equilibrio difficile tra LOCALE e GLOBALE.
E’ stata la scoperta dei valori immateriali che trasformano un PUNTO GEOGRAFICO in un LUOGO ABITATO, strati di cultura, abitudini, percezioni, simboli, trascurando i quali il mondo si appiattisce diventando tutto uguale.
E’ stata la motivazione principale della mia vita da viaggiatrice e da flaneuse: mi piacciono i luoghi, quasi tutti.
Mi piace arrivarci senza preletture, da esploratrice in diretta.
Mi piace interpretare i segni che l’abitare genera nelle diverse situazioni geografiche, paragonarli, coglierne le differenze e poi, al ritorno, cercare di capirne i motivi, studiare, ripercorrere il viaggio dentro i libri.
Il paesaggio è un patto culturale e un patto sociale.
E’ un sistema di valori che le comunità proiettano sui luoghi.
E’ un modello interpretativo cangiante, che si modifica ed evolve continuamente.
Non esiste paesaggio senza uno sguardo che indaga, osserva, riconosce: non esiste paesaggio senza consapevolezza.
Il paesaggio è un rapporto, un sistema di relazioni: non è mai in sé, non è mai assoluto.
Non è mai individuale, è sempre collettivo.
E’ quindi un terreno di incontro, di scambio, di apertura.
Guardare un paesaggio significa innanzitutto aprire un dialogo con l’altro da te.