Le scelte che portano alla trasformazione dei luoghi incidono in maniera rilevante sui destini e le vite di chi li abita. Nonostante ciò si è creata una distanza abissale tra coloro che pensano e gestiscono i progetti e i piani e coloro che poi li dovranno abitare.
E’ innanzitutto una distanza linguistica dovuta alla complicazione iperbolica dei linguaggi e delle norme che regolano i processi di trasformazione, comprensibili soltanto per una ristrettissima fascia di specialisti.
E’ una distanza informativa, perché i meccanismi di trasmissione dei dati (che peraltro esistono e sono previsti dalle leggi), sono a loro volta complicati e rivolti principalmente ad assolvere obblighi e ruoli burocratici, piuttosto che a far davvero capire, comunicando in modo semplice, trasparente ed esaustivo.
E’ una distanza politica, che incide in maniera negativa sul diritto di cittadinanza, sulla possibilità di prendere parte ai processi che riguardano la tua vita di abitante della comunità, di attore della polis.
Tutto ciò genera conflitto, esclusione, fratture.
Genera sottocultura, diffidenza, sfiducia.
GENERA –ED È LA COSA PEGGIORE- LA CONVINZIONE CHE LE REGOLE NON SERVANO E CHE SIA LEGITTIMO NON RISPETTARLE.