Dal 2006 al 2010 ho lavorato al progetto dell’Urban Center
di Bergamo, non quello dell’edificio, ma quello del nuovo servizio che l’amministrazione comunale avrebbe attivato con la finalità di promuovere una cultura del territorio inclusiva, allargata e condivisa.
Non ho inventato nulla: ho proposto con tenacia che si facesse anche a Bergamo quello che era già era partito con formule e declinazioni varie in molte città europee e in qualche città italiana, Milano, Bologna, Torino, Pesaro.
Ho condiviso tutto il percorso, -idealità, entusiasmo e fatica -, con Marina Zambianchi, mia interfaccia costante dentro i palazzi comunali: l’Urban Center
è stato aperto nel 2009 in una delle 2 ali dell’edificio vetrato progettato da Giuseppe Gambirasio e Marco Tomasi in Piazzale degli Alpini.
L’obiettivo era ambizioso: ridurre la distanza, quasi sempre abissale, tra coloro che pensano e gestiscono i progetti e i piani e coloro che poi li dovranno abitare.
Informare, formare, comunicare, dare strumenti effettivi per capire e, quindi per poter partecipare, ciascuno con il ruolo che può avere come membro consapevole della polis.
Spezzare quindi la catena insopportabile del nymbismo
e dell’indifferenza, stagliate sullo sfondo di una burocrazia rigida e arroccata.

Coabitare è difficile, non è affatto istintivo, è totalmente culturale.
Non nasciamo cittadini, lo diventiamo con l’educazione, l’esperienza del confronto, l’apprendimento continuo. Tutto ciò non avviene per caso: l’attitudine alla cittadinanza va coltivata, dedicandole risorse e progettualità.