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C’E’ CASA E CASA 4

Riflessioni al tempo del coronavirus

 

Shelter from shelter: abitare l’extra-ordinario

“Voglio una casa che definisca il mio personalissimo mondo, una casa sulla mia misura”. Questa era la richiesta inderogabile del committente, Jean-François Lemoine , ricco e raffinato editore divenuto disabile a seguito di un incidente.
Rem Koolhas parla di questa casa da lui progettata nel 1994 a Floirac (vicino a Bordeaux) definendola shelter from shelter, un rifugio dall’idea di rifugio.
Nella mostra The Unprivate House allestita al Moma nel 1999 ( mostra di importanza epocale) viene presentata come esempio della ‘fine della dimensione domestica’ che caratterizza l’abitare contemporaneo: fine della casa come stereotipo prefissato , dello standard codificato secondo criteri comuni e replicabile in serie.
La casa è confezionata come un abito di alta sartoria, per dare forma all’ ‘unicità ‘ dei bisogni e dei desideri del proprietario, del suo corpo e della sua anima: alla sua morte lo Stato francese ha apposto un vincolo per ‘congelare’ lo stato originario ed evitare le alterazioni che nuovi corpi e nuove anime avrebbero inesorabilmente apportato distruggendone la singolarità.
Questo edificio è extra-ordinario: sul livello centrale, completamente trasparente , galleggia il livello superiore fortemente materico punteggiato dalle aperture a forma di oblò che consentono un dialogo selezionato con il paesaggio circostante.
La struttura è interessantissima, progettata da Cecil Balmon, grande ingegnere dello studio Ove Arup.
I muri nord e sud del 2° livello fungono da travi, sostenute in modo eccentrico da un enorme travone al piano sotto in lato est. e appese sul lato opposto ad una trave di acciaio che sembra poggiare sul tetto, ma è in realtà appoggiata al cilindro della scala .
Un tirante metallico ancorato a un grosso blocco immerso nel terreno impedisce alla trave superiore di oscillare conquistando un equilibrio magico e apparentemente precario.
Dal punto di vista distributivo e funzionale la casa è in realtà composta da due case autonome, una per i genitori e l’altra per i figli.
La porzione dei genitori è incentrata su una pedana idraulica mobile che trasporta il proprietario disabile in carrozzina attraverso tutti i piani della casa, diventandone il cuore espressivo e funzionale.
La pedana è uno spazio abitabile, biblioteca e studio del proprietario, culminante nell’ultimo livello che prende luce dal grande lucernario zenitale.
Immagino che se il mio confinamento per il coronavirus fosse in questa casa sarebbe un viaggio nello stupore che soltanto alcuni spazi ti consentono di esperire.
Di certo penserei continuamente al rapporto di complicità tra il sig. Lemoine e il suo architetto, necessario per creare un edificio così: l’extra-ordinarietà è rischiosa e sperimentale , richiede ottimismo e grande fiducia reciproca.
E penserei a come tra gli edifici e chi li abita si crea un rapporto denso , che lascia ovunque segni e tracce a volte di sintonia e affinità, a volte di contrasto e conflitto. Spesso di sciatta indifferenza.
E penserei che gli edifici trasformano chi li abita e chi li abita trasforma gli edifici.
Che tra Lari e Penati l’equilibrio possibile è tutt’altro che semplice e , comunque, dura sempre soltanto pochi attimi.