Riflessioni al tempo del coronavirus
In questo periodo viviamo confinati in casa per proteggere gli altri e proteggere noi stessi dal rischio delle relazioni tra i corpi che possono trasmettere o ricevere il nemico invisibile del virus.
È,nella sua drammaticità, un’occasione per riflettere su tante cose e, per chi come me è architetto, per riflettere sulle questioni specifiche della mia disciplina.
Riacquista per esempio vigore, forzatamente e imprevedibilmente , uno degli archetipi fondativi dell’abitare, quello che Bachelard definiva la ‘casa guscio’ , cioè la casa come bisogno/desiderio di un luogo separato e riparato dall’esterno . Sicuro.
Riacquista altrettanto vigore l’evidenza che non tutti i ‘gusci’ sono uguali tra di loro: non tutti gli interni sono protettivi e sicuri, ‘nidi’ caldi e accoglienti dove rigenerarsi nella libertà del proprio privato.
Anzi.
Alcuni, troppi, sono gusci claustrofobici e invivibili.
Michael Wolf , fotografo tedesco, nella serie Architecture of density ( 2005) rappresenta con straordinaria efficacia l’alienazione della metropoli: senza radici e senza cielo, le facciate di Hong Kong diventano nelle sue fotografie trame seriali ed astratte di pieni e di vuoti.
Dietro muri come questi abitano migliaia di persone.
Nella serie 100x100 ( il titolo si riferisce alle dimensioni in piedi delle cellule abitative - circa 30 mq) Wolf rappresenta gli interni, e i loro abitanti ritratti in posa attorniati dagli oggetti quotidiani che, in spazi così piccoli, appaiono brulicanti.
In questo momento pandemico molto esseri umani sono confinati entro gusci come questi.
Gli spazi possono essere violenti e disumani: la costruzione fisica della città, dei suoi muri e delle sue case, non è mai un’operazione neutra, puramente tecnica.
L’ architettura dà forma, rendendole concrete, a questioni fondamentali del vivere insieme ed incide profondamente e direttamente sulla qualità generale della nostra vita .