9 / Buon gusto e adolescenza
23 Luglio 2018 In Senza categoria Commenti disabilitati su 9 / Buon gusto e adolescenza
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Ci ricordavamo di lei quando, bambina di tre anni, aveva improvvisato per noi un balletto senza musica. Di colpo, senza preavviso, richiesta o forzatura, si era alzata dal tavolo dove stavamo cenando con i suoi genitori ed era sparita per poi tornare qualche minuto dopo agghindata di tutto punto, tutù verde pisello, calzamaglia e corpetto dello stesso colore.
Aveva iniziato a volteggiare, seguendo una musica immaginaria che suonava solo nel suo cervello, lasciandoci di stucco, invasi da tenerezza e ammirazione per la spontaneità di questa nipotina, che di fatto conoscevamo pochissimo non avendola quasi mai vista e frequentata.
Ci sono momenti che hanno un peso ed un’evidenza fortissimi: tra i miliardi di momenti di cui è composta la vita, ce ne sono alcuni che rimangono a galla, non si inabissano mai, sono i punti notevoli della nostra memoria e della nostra narrazione.
In questi anni l’ho incontrata solo in rare occasioni famigliari, durante le quali ogni volta osservavo come la sua bellezza stesse via via prendendo forma e maturando.
Mi faceva piacere sentire dei corsi di danza classica che frequentava con costanza e tenacia, perché ho sempre pensato a lei come a una ballerina.
Quando due sere fa siamo andati ad assistere per la prima volta al saggio di fine anno della scuola di danza, ero curiosa e un po’ agitata: l’immagine del tutù verde pisello continuava a riemergere nella mia memoria.
Letizia era bravissima: si muoveva sul palcoscenico con padronanza e disinvoltura, grazia ed armonia.
Il palco le dava l’aspetto e la maturità di una donna: nelle mani di abili coreografi, agghindata con costumi trendy e molto sexy , in scene di gruppo o da etoile, brillava, esibendosi in pezzi di danza classica, che erano la base più importante, ma anche in pezzi di danza moderna, nei quali i coreografi ammiccavano all’immaginario televisivo.
Aveva quattordici anni, ma sul palcoscenico del teatro di periferia sembrava molto più grande.
Pensai che il destino per qualcuno è tracciato più nettamente che per altri: pensai a come la tenacia, la fatica e il rigore dell’allenamento possano produrre risultati che, se innestati sul talento naturale, diventano importanti.
Pensai a come non si possa mai ottenere qualcosa senza il suo contrario, leggerezza e muscolosità, grazia e sudore, molto tempo lì, poco tempo altrove.
Il teatrino era pieno di parenti e genitori che erano a loro volta pieni di speranze e aspettative. Guardavano alle figlie con orgoglio e con paura perché l’erotismo del ballo rendeva evidente la fine dell’infanzia.
Sento che la strada di Letizia sarà lunga: so che il momento determinante sarà quello in cui scegliere tra la strada in salita della danza classica o quella – allo sguardo di un’adolescente molto più in discesa – verso la velina/letterina/ragazza cubo/valletta, piena di rischi e di buon gusto…
Forza Letizia non farti fregare, segui il tuo talento e la tua felicità.
Se lascio Letizia e l’affetto che ho per lei, posso fermarmi a guardare il saggio di danza di fine anno con occhi totalmente diversi.
La scuola che organizza questo evento promuove se stessa con grande lucidità commerciale: sa che per farlo ha a disposizione uno strumento gratuito molto forte e cioè i tanti spettacoli televisivi che hanno assunto il corpo femminile come tema centrale dell’intrattenimento e dell’audience.
L’immaginario è già pronto, basta solo evocarlo, renderlo vivo sul palco del teatrino di provincia perché tutti saranno già disposti ad abboccare, in primo luogo i diretti clienti, le ragazzine che sognano di diventare protagoniste dello schermo e della seduzione.
Guardandole muoversi e ancheggiare mi rendo conto di come sia difficile e rara un’interpretazione originale dell’esistenza, di come i codici di comportamento condizionino la gran parte delle nostre espressioni e dei nostri sentimenti che quindi non sono poi così speciali anche quando crediamo di essere irripetibili e creativi.
Il buon gusto è un codice di vita che troviamo già pronto e al quale aderiamo per sentirci più sicuri: a esso spesso affidiamo le nostre speranze di unicità e di originalità senza renderci conto che, al contrario, ci avvolge come una gabbia stretta, uno attaccato all’altro, togliendoci l’anima e il carattere.
La gente stipata nel teatrino mi appare a questo punto senza speranza: madri omologate e acefale che tramandano al futuro la loro nullità riprodotta nelle figlie, pronte a entrare nel mercato della femminilità secondo canale 5, pura riproduzione di una specie grigia, senza poesia e senza veri peccati.
Fuggi Letizia, fuggi da questo destino livido, inventane un altro folle e grandioso, solare e sfolgorante: il tuo destino.