Sul piano del mio tavolo di studio conservo, vicine, due immagini.
Una ritrae le facciate delle vele di Scampia cioè i palazzoni piramidali costruiti negli anni Sessanta alla periferia di Napoli, interpreti della cultura progressista di quel periodo, che affidava a nuove tipologie abitative il compito assai gravoso di migliorare la società e i rapporti tra i cittadini, affermando nuovi modi di abitare e di condividere lo spazio urbano.
L’altra ritrae i palazzoni piramidali della Marina des Anges a Cagnes sur Mer, 12 chilometri da Nizza, complesso residenziale di vacanza all’interno del quale, in posizione baricentrica, si sviluppa il porticciolo turistico dove sostano natanti per il diporto e lo svago dei turisti.
Le immagini dei due complessi mostrate dalle fotografie sono straordinariamente simili: nonostante siano stati partoriti in contesti diversi, (un piano di edilizia economica popolare per Scampia, un investimento di speculazione immobiliare per la Marina di Cagnes) i fabbricati e la loro concezione tipologica, rivelano un sentire comune che riguarda il modo di abitare, di pensare il rapporto tra individuo e collettività, tra strada ed edificio, tra quartiere e città.
Eppure, al di là delle apparenze, niente è più diverso di questi due complessi: i palazzoni di Scampia sono abitati dalla miseria, dal degrado sociale e dalla bruttezza. I palazzoni di Cagnes sono al contrario abitati dal benessere di una popolazione di vacanzieri con barche, palme sulle grandi terrazze, abbronzature e occhiali da sole.
Scampia è la scena di “Gomorra” e del suo sfascio; la baia Des Anges è la scena di “Supercannes” e degli incubi di Ballard. Sottoproletariato criminale e gentrification amorale, eroina tra le immondizie e cocaina sui divani di pelle, faccia pulita del denaro sporco.
Scampia e Cagnes sono esempi di spazi generati da un ragionamento sull’abitare condotto nella solitudine della propria ragione disciplinare, spinto dalla volontà di cambiare il mondo con la forza della forma, nella convinzione che, come il cemento, la società possa essere plasmata nello stampo dell’architettura in cui viene colata la fluidità dei rapporti umani prima che possa indurirsi e diventare immodificabile.
Niente di più folle.

Il territorio è un sistema di valori condivisi che si costruisce lentamente nel tempo e nello spazio, mettendo in relazione chi abita e dando un senso comune alle forme e ai paesaggi.
La costruzione della città non può prescindere dalla costruzione della cittadinanza e dei suoi modi, la sua evoluzione non può prescindere dall’evoluzione di chi la abita.
L’architettura senza polis è una carcassa destinata a morire di putrefazione o di anoressia.

illustrazione © Francesca Perani