Mi ha sempre affascinato il concetto di “panorama”.
Come esseri viventi e vedenti siamo legati al mondo da un’infinita possibilità di “sguardo”: il legame è cangiante e mutevole perchè lo “sguardo” cambia con noi e col nostro punto di vista e perché pure il mondo si trasforma continuamente.
In questa situazione di continuo divenire percettivo, il “panorama” è un punto fermo, uno sguardo congelato, lo stop di un fotogramma all’interno di una pellicola in perenne movimento: l’idea di panorama esprime la volontà di rendere oggettiva e stabile la percezione del mondo.
Ogni panorama è il risultato di un’azione forte di simbolizzazione e significazione che molto ci racconta e spiega sulla concezione del contesto che la genera.
Potremmo scrivere una storia del buon gusto attraverso le “vedute” dei pittori di genere o, in tempi più moderni, attraverso le cartoline e le fotografie scattate dai turisti che, nella gran parte dei casi, altro non sono se non le stesse cartoline riprodotte all’infinito.
Potremmo ripercorrere le tappe del percorso lungo il quale è nato e cresciuto il concetto di “paesaggio”: altrettanto ricco potrebbe essere uno studio che indaghi su come il bagaglio delle immagini pre-costituite e dei simboli, condizioni e deformi la nostra possibilità di vedere altro, di trovare nuovi squarci. Insomma di come il concetto di panorama e di veduta condizioni la nostra visione del mondo attraverso una serie di stereotipi che, per dirla come Arnheim, finiscono col diventare “concetti percettivi” a priori.
Ma questo non è un libro di storia, né un saggio di estetica.
Affinché l’azione terapeutica che queste pagine sono chiamate a svolgere possa funzionare, preferisco chiudere con la brutalità volutamente non dialettica di un pensiero forte e tranciante.
Dal punto di vista filosofico, quello di “panorama” è un concetto aberrante, un inganno istituzionalizzato: non c’è infatti nulla di meno assoluto e fisso dello sguardo sulla realtà.
Ogni mirador è il frutto della pretesa forte e patetica di controllare il rapporto che ci lega al mondo e, allo stesso tempo, è la dimostrazione evidente che ciò non è possibile.
Come nei quadri di Chagall, Parigi è diversa dalla finestra di ognuno di noi.