Nei periodi di crisi economica come quello che stiamo attraversando, si radicalizzano le differenze sociali e il divario tra chi possiede molto e chi possiede poco aumenta in maniera disgustosa, un po’ come succede nella stampa delle fotografie quando il contrasto tra bianco e nero è forte e ruvido ed elimina i grigi intermedi, i passaggi tonali e la loro morbidezza.
Quello che stiamo vivendo è un periodo così.
Il mondo urla il bisogno di un senso, ma le orecchie di molti preferiscono ascoltare canzonette, gli occhi staccarsi da ciò che inquieta e cercare orizzonti luccicanti.
Il lusso è un grande sogno, è l’illusione di poter essere diverso, di confondersi con quello che non siamo giocando sulle apparenze più esterne, evitando un confronto reale con gli altri, con l’altro e con noi stessi.
Nell’immaginario della pubblicità il lusso è un sogno che tutti si possono permettere: i pendolari dell’iperterritorio “forzati del consumo”, accumulano denaro lavorando duramente e poi sbarcano a frotte dai voli low cost e si perdono negli ipermercati al di là dell’autostrada, dove comprano “il lusso a buon mercato”, le griffe dell’immaginario.
I grandi centri di vetro e ferro sono appoggiati su un suolo “extraterritoriale” delimitato da grandi svincoli, per contenere l’universo delle merci, indifferenti ai luoghi, ai paesaggi e alle identità.
Venite, venite, compratevi il lusso! Qui potete trovare tutto e gustarvi la scelta al riparo dagli imprevisti della strada! Il tepore d’inverno, la frescura d’estate, l’asciutto quando piove: pensiamo a tutto noi… Vi teniamo i bambini… Vi potete saziare… non avrete mai sete… Vedete quanta gente intorno a voi, passeggia come voi, è alla ricerca come voi e sceglie come voi…… è la vostra comunità, sono i vostri simili…… Venite e compratevi la felicità!
La sede organizzativa dell’ipermercato sorge un po’ più avanti sulla stessa autostrada: è un’altra architettura cangiante di riflessi, trasparente e incorporea, leggera e immateriale, espressione di quella surmodernità internazionale e globalizzata, che attraversa i sistemi metropolitani di tutto il mondo, ovunque uguale solo a se stessa e totalmente indifferente ai luoghi e alle geografie locali, espressione delle multinazionali economiche. Da qui sorvegliano i flussi, tracciano i diagrammi, fissano i prezzi, decidono gli acquisti. Nella retorica del marketing aziendale i pannelli solari sul tetto fanno di questa sede un esempio di architettura “sostenibile”.
A fianco, passando per l’autostrada, si riesce a intravvedere uno squarcio di terreno libero, un appezzamento di modeste dimensioni coltivato a mais che, ormai sommerso dallo sprawl di una città informe, ci fa sentire la finitezza del mondo in cui viviamo, il suo livello di consunzione.
Girando lo sguardo il lusso mostra i suoi vuoti, i suoi punti irrisolti.
Ma quale sostenibilità? E quale modernità?
Quella di Amartya Sen o quella della famiglia Bush?
Quella di un mondo che affronta i bisogni e cerca di risolvere gli enormi problemi di un nuovo equilibrio delle risorse e del senso delle cose o quella di una civiltà che alimenta continuamente e artificiosamente i desideri di consumo distruggendo risorse, paesaggi, identità e culture?
E quale pensiamo sia il vero lusso nelle congestionate realtà metropolitane in cui una massa sempre maggiore di persone vive, spopolando le campagne di tutto il pianeta?
Il lusso come nuova sobrietà, come libertà dai consumi indotti e idioti, come libertà dalle firme e dall’omologazione, come capacità di scegliere un senso della propria vita e del proprio abitare, come serena e pacifica coesistenza con gli altri, come riduzione delle differenze sociali e lotta alle povertà dilaganti che ci umiliano ogni volta che, seppur storditi dai centri commerciali e dal lardo dell’iperalimentazione, ne prendiamo atto agli angoli delle nostre strade opulente, nella vecchiaia abbandonata, nell’infanzia senza diritti.
Il lusso come promozione della progettualità di un paese, di un sistema scolastico che possa attirare le giovani generazioni sostituendo al mito del “lusso griffato” e motorizzato la pratica dell’intelligenza e della libertà.
Di certo questo è un momento storico importantissimo nel quale urge una riprogettazione della modernità e del suo senso e nel quale le migliori intelligenze e le migliori organizzazioni politiche ed economiche stanno dando il meglio di sé per elaborare idee davvero contemporanee, davvero evolute, per fare business anche, ma senza che questo significhi rapinare il futuro degli altri.
Non tutti evidentemente: accanto ai modelli di modernità elaborati da Amartya Sen e dai Bush possiamo in questo affascinante dibattito sulle scelte da fare affiancare il modello di Jean Bedel Bokassa, carico di gioielli e simboli del lusso, griffe e fuoriserie, assassini e trucidazioni, emblema del potere antropofago fatto di ricchezza individuale senza freni e di violenza. Ovviamente per capire che il vero lusso della contemporaneità è quello di essere completamente diversi da lui.